Riflessioni sull’origine delle cose /
COVID-19 e l’evoluzione delle specie

Quando il 24 novembre del 1859 Charles Darwin pubblicò lo scritto The origin of species. By means of natural selection or The preservation of favoured races in the struggle for life, dichiarò al mondo scientifico prima e a quello intero poi, di aver trovato la spiegazione all’evoluzione delle specie animali e vegetali. Per la prima volta nella storia, una nuova teoria evolutiva scientificamente fondata, faceva cadere l’idea secondo cui la vita fosse il risultato della mano di Dio.
In poco più di un secolo, l’uomo è riuscito a fare della techne uno strumento tanto potente da permettergli di sostituirsi a qualsiasi Dio o legge naturale.
La pandemia da COVID-19 è l’ultima testimonianza di un’evoluzione delle specie che non è più ad appannaggio della mera selezionle naturale.
Un virus patogeno è ormai entrato nel DNA dell’organismo Terra e l’umanità sta riscrivendo le leggi della propria evoluzione.  

“L’uomo autopoietico che si fa da sé è di nuovo crollato, questa volta per un tragico errore di sistema, trasformando ecosistemi biodiversi in furiosi deserti di biofilm e meduse urticanti”. (D. Haraway)

 

Tigris-Birkleyn, 2011, Archival pigment print on Baryta, 124x158 cm


Ciò che stiamo vivendo oggi è l’ultimo capitolo del grande racconto intitolato Antropocene o Capitalocene. Una storia che, intrecciata a quella della Globalizzazione, da qualche anno a questa parte ha iniziato a presentare il proprio conto all’umanità. Una storia che non solo abbiamo immaginato, ma abbiamo scritto, e alla quale abbiamo dato forma negli ultimi due secoli e mezzo.
Ma, come scrive Donna Haraway in Chthulucene. Sopravvivere su un pianeta infetto (2019), è tempo di raccontare un’altra storia: quella in cui “l’Uomo Specie non fa la Storia” in cui “Uomo più Strumento non fa la Storia” e dove “lasciare il passo alle geostorie, alle storie di Gaia, alle storie sinctonie” perchè “i terrestri vivono e muoiono in maniera tentacolare, intrecciata e reticolare in un gioco della matassa multispecie e simpoietico; non fanno la Storia”.

La ricerca di Bepi Ghiotti (Torino, 1965) è geneticamente legata al concetto ampio di simbiosi. Un tema espresso attraverso indagini metaforiche su un altro concetto chiave come quello dell’empatia, oggi sempre più cruciale.
Lo scrisse nel 2009 Eileen Crist, quando in On the Poverty of Our Nomenclature dichiarò che “serve un’umanità con una maggiore integrità terrena che sappia sollecitare e dare priorità al nostro ritirarci e ridimensionarci, ad accettare di buon grado le limitazioni dei nostri numeri, delle nostre economie e dei nostri habitat per il bene di una libertà maggiore e più inclusiva e di una qualità della vita migliore”.

 

Water Line, 2016, Single channel video HD with sound, 03’17”


Bepi, nel tuo lavoro — sia esso fotografico, filmico o scultoreo — sono spesso presenti dei riferimenti a tutto questo. Potresti raccontare in che modo la tua ricerca indaga il bisogno di “Simbiosi” e quello di “Simpoiesi” di cui parla Donna Haraway?


Come artista sono necessariamente simpoiesico nello stare al mondo ma autopoietico nell’atto creativo. 
Esiste un gap su cui ci si incaglia perché l’artista, in prima battuta, fa e deve fare per sè. Ma il suo lavoro, per forza, comprende e ha bisogno degli altri per vivere.
Capisco i discorsi della Haraway, ma se devo immaginare un mondo dove vengono auto-imposti limiti alla ‘creazione’ e questa viene dunque auto-regolamentata al fine di garantire una sopravvivenza [forse] migliore, ma anche elitaria, ad un più ristretto numero di individui, non posso non fare i conti con il fatto che questa costrizione o limitazione coinvolgerebbe ogni atto creativo che riguardi l’uomo, compreso quello dell’arte. E quindi? 

Il virus ci insegna che ogni forma di vita è spinta dalla selezione naturale a riprodursi ed incrementare i propri numeri cercando di colonizzare ogni ecosistema disponibile. La specie fa il suo corso, muta e preme a prescindere dalle preoccupazioni degli uomini. 
In questo scenario, semmai, si tratta di cercare ancora i valori e i significati vicini alla natura e al vissuto quotidiano da cui nessuno è escluso e trovare il modo per ricavare spazi di pensiero libero. Delle radure tra i boschi dove l’uomo, che come dice Beuys “è il custode di un’energia in grado di modificare il mondo” dovrà individuare le modalità di utilizzo di questa energia per continuare a meritare il ruolo che si è conquistato e vivere questa responsabilità adattandosi alle condizioni che gli verranno incontro. 

 

Mio caro Richard, 2017 (edited 2019), single channel video HD with sound, 04’48” 


I tuoi lavori inducono un pensiero critico, invitano lo spettatore a interrogarsi, assolvendo quel bisogno fondamentale di “pensare” che è strumento per vedere il mondo con occhi e approcci differenti. Qual è il messaggio che ti sta maggiormente a cuore? E quale l’invito intimo che rivolgi allo spettatore? 


Nel mio lavoro tento di condensare cose molto complesse, scarnificandole, andando all’osso, per restituirle attraverso una visione davvero semplice e di facile lettura, con il minor numero di dati possibile. 
Mi avvicino a questa visione attraverso lunghi processi di elaborazione e di rimozione che mi trasportano in uno stato in cui il mio pensiero ha qualcosa di veramente magico. Intuizioni cristalline. 
Questi momenti sono piuttosto rari e di solito prevalgono le distrazioni della vita, ma è lì che mi sento di parlare di simbiosi. Quello è il posto dell’humus, il terreno fertile dove le cose possono nascere. Il compito di ogni artista è quello di coltivare questo terreno, dedicarsi al processo. 
E' il pensiero che sta dietro al video "Mio caro Richard" (2017) in cui un uomo, io, avanza in un terreno incerto che gli frana sotto ai piedi. E' il terreno che ci siamo preparati in decenni di distrazione e stupidità umana e sul quale, oggi, abbiamo il tempo di riflettere.
Così, anche nel pubblico, si deve continuare a generare consapevolezza critica e tentare di provocare una propria personale percezione dell’importanza dell’arte ma ora è il momento di spostare l'attenzione dal prodotto all'intenzione, dall'oggetto al processo artistico.

 

Un Quadro, 2018, single channel video HD with sound, 41’03” 


Come pensi che quanto sta accadendo oggi influenzerà la tua ricerca futura e come immagini debba svilupparsi la nuova relazione tra arte e vita?


Per la sua natura effimera il video, come mezzo, si rivela ora come uno dei più interessanti. La non-fisicità che lo caratterizza, la sua predisposizione all’uso dello schermo, la sua natura digitale e la fruibilità intorno al mondo, lo mettono in una posizione privilegiata. Sarà molto importante, per compensazione, conservare la fisicità all’atto della produzione scartando il prevedibile sentiero di un’arte de-umanizzata e troppo artificiale.
Anche se spesso il linguaggio contemporaneo utilizza legittimamente e indifferentemente ogni mezzo a sua disposizione, il mio modo di agire, le tracce che lascio, non hanno la pretesa di essere una denuncia del nostro preciso periodo storico. Questa, per me, appartiene ad altri campi come il giornalismo, la scienza, l’impegno politico, ecc… Il mio lavoro deve tenere in considerazione la Storia ma continuare ad avere uno sguardo ampio e indipendente, un equilibrio tra significato e forza estetica che vada oltre il problema narrativo. 

L’esperienza artistica nel breve periodo aprirà a modalità di connessione nuove. Credo (e temo) che la tecnologia, la rete, l’intelligenza artificiale si prenderanno larghi spazi anche nel nostro campo. Le esperienze di isolamento che stiamo sperimentando faciliteranno questi cambiamenti superando le convenzioni che regolano il sistema dell’arte attuale, bene o male che sia. Stiamo assistendo a molti tentativi da parte degli addetti ai lavori per reinventarsi, siamo tutti con la zappa in mano in un terreno incolto e vedremo che frutti arriveranno. Ma intanto continuiamo a fare

 

“C'è qualcosa di grandioso in questa idea della vita, con le sue infinite potenzialità, originariamente infuse dal Creatore in pochissime o in una sola forma; e, mentre questo pianeta ha continuato a roteare seguendo le immutabili leggi di gravità, da un inizio così semplice infinite forme, sempre più belle e meravigliose, si sono evolute e tuttora si evolvono”. (C. Darwin)

 

45°8’13”N 7°48’50”E, 2019, single channel video HD with sound, 01’30” 
In Between,
2017, Single channel video HD with sound, 04’00”
Immagine di copertina: So Sorry, 2019, single channel video HD with sound, 02'40''.
Per tutte le immagini: courtesy Bepi Ghiotti