A landscape is a landscape is a landscape
Testo di Stefano Taccone
Per Enzo Calibè non c’è distinzione tra arte e vita, ma in una accezione molto diversa dalla continuità arte-vita cui le avanguardie hanno alluso. Tutto nasce da un profondo amore per la natura nella sua totalità, per tutte le specie che la compongono, e dall’intuizione di essere, in quanto uomo, parte integrante di essa, ma anche da una altrettanto profonda pulsione verso la creatività, come attitudine che se da una parte si aggiunge alla natura – così, secondo Van Gogh, sorgerebbe l’arte - dall’altra pure dalla natura stessa deriva. Da qui però anche un sentimento di grande sconforto e turbamento, prodotto dalla coscienza di come gli uomini stessi – nessuno escluso, neanche l’artista, il curatore o il gallerista – siano oggi più o meno consapevolmente risucchiati in un meccanismo che violenta e depreda la biosfera e si sta già rivoltando loro contro. Lo stesso armamentario linguistico e comunicativo attraverso il quale negli scorsi decenni l’ecologia ha tentato di fronteggiare il potenziale distruttivo di uno sviluppo insostenibile appare oggi completamente sussunto dai guru del marketing, che si sono inventati «l’impossibile capitalismo verde». (Daniel Tanuro).
L’incontro tra sensibilità etico-ambientale ed estetico-creativa si risolve così per Enzo, ormai da diversi anni, nella messa a punto di un controdiscorso che possa contribuire minimamente a disinnescare tale incanto, fin troppo consolante nella sua problematica prospettiva di essere “ecologicamente corretti” pur mantenendo i medesimi stili di vita. Le sue indagini, avvalendosi di differenti media e linguaggi, dimostrano quanto l’immagine del paesaggio naturale sia oggi fondamentale per le strategie pubblicitarie e comunicative in generale, ma anche come, in tal modo, la natura stessa si sia tramutata in un mero segno senza contenuto. La natura reale – quella che si tocca e si odora perché ha uno spessore ed una fragranza, oltre che un’immagine da contemplare – è così baudrillardianamente scomparsa a causa della iperproduzione delle sue immagini mediate, immagini che possiedono la medesima (non) verità della grande narrazione postmoderna della green economy.