NORTH PHILADELPHIA REVISITED
In quanto interfaccia, il paesaggio urbano è il risultato dell'azione dell'uomo che lo abita. Un'immagine densa di culture, tradizioni, simboli e oggetti. In esso ritroviamo le nostre azioni, le nostre attività quotidiane e mediante esso creiamo i nostri riferimenti.
La forma del paesaggio va dunque di pari passo con la qualità della vita delle persone. Poichè questo non è solamente uno spazio fisico, ma un insieme di emozioni, sensazioni e intenzioni.
'Crescendo a Philadelphia tra il 1970 e il 1980, ho spesso avuto la sensazione che esistessero due città distinte: quella ricca, principalmente costituita da bianchi e collocata entro il confine delineato dal piano urbano 'Center City' di William Penn, nella quale viveva la mia famiglia, e le zone dove erano collocati gli americani di origine Africana, marcatamente meno proposperose. Nonostante le persone provenienti da entrambe le aree interagissero a scuola, al lavoro e nei contesti pubblici, c'era evidentemente una divisione.
Il Nord Philadelphia, in particolare, era ed è il centro della comunità afro-americana della città. Si tratta di un territorio ricco di cultura e storia. Tuttavia, dal 1950, le narrazioni famigliari del declino demografico e produttivo delle periferie degli Stati Uniti, hanno portato un degrado urbano generale. Nonostante di recente si siano verificati nuovi episodi di sviluppo, ampie aree sono afflitte dalla povertà, dalla violenza e dal degrado legato alla droga.
La scoperta di questi quartieri è avvenuta grazie a mia madre, Lily Yeh, un'artista americana di origini Cinesi, che a metà degli anni Ottanta ha avviato un progetto di rinnovamento lungo Germantown Avenue, nel cuore del Nord Philadelphia. Lavorando al fianco dei residenti, ha iniziato a riconvertire lotti abbandonati in giardini-sculture e spazi di uso comune. C'era una grande energia e vitalità, un'esperienza nuova per me. Il quartiere in quell'occasione ha catturato la mia immaginazione che ho compreso a pieno solamente molti anni dopo.
Il processo di 'ridare forma' a tegole, mattoni e detriti era un qualche cosa di irresistibile. In quanto adolescente ho avvertito l'entusiasmo e la sensazione che le strutture crollate e gli spazi abbandonati potessero essere rinnovati e che, forse, l'ingiustizia del ghetto potesse essere affrontata e mitigata attraverso l'arte.
Sono andato ogni estate al 'Village of Arts and Humanities', questo il nome che è stato dato in seguito al progetto. Ho avuto modo di conoscere molte persone, in particular modo di avvicinarmi a James Maxton, conosciuto come il 'Grande Uomo', per via della sua altezza. Originario del Nord Carolina, era stato un guardalinee nel football, prima di un infortunio alla caviglia che ha concluso la sua carriera professionale. Dopo aver intrapreso la strada per Philadelphia, alla ricerca di un nuovo futuro, si è trovato coinvolto in episodi di droga, fino a diventare tossicodipendente. Dopo vent'anni la sua vita stava per collassare. Uno dei suo amici lo ha così introdotto al Village e da quel moment il Grande Uomo ha riversato la sua energia nel creare sculture e murales. A poco a poco, ha assunto altri ruoli, diventando una figura di riferimento molto amata del quartiere. Era affascinante e perspicace, ma qualcos'altro mi ha attirato a sé, forse la sua consapevolezza di essere fragile, il suo essere compassionevole e senza pretese. Il suo corpo, in fondo, si era deteriorato come il qurtiere stesso, a causa di anni di incuria. Quando nel 2005 è morto a causa di un'insufficienza renale, l'intera comunità si è mossa per celebrare la sua vita.
Il mio coinvolgimento diretto al Village è terminato quando ho iniziato il college a Chicago, altra città divisa, ma il ricordo di quell'esperienza ha continuato a risuonare in me, in particulare dopo il trasferimento a Pechino, nel 1998, in seguito agli studi di fotografia. Mi sono trasferito in Cina per indagare la mia eredità asiatica, per fare fotografie e per iniziare un progetto sui lavoratori migranti che hanno lasciato le provincie di Pechino alla ricerca di nuove opportunità. Con il loro lavoro si è giunti alla produzione di miriadi di oggetti di consumo quotidiano e alla costruzione dei grattacieli nelle città. Eppure, nonostante la loro energia e persistenza, sono stati in larga parte esclusi dalla nuova prosperità economica. Il mio interesse verso queste figure mi ha portato nuovamente verso le periferie delle città, dove molti di loro risiedevano. Le contraddizioni che ho trovato nel paesaggio che le caratterizzava, rinforzavano il senso di squilibrio e di disparità tra i nuovi ricchi e poveri che vivevano nelle baraccopoli. Sontuosi campi da golf campeggiavano accanto a depositi di riciclaggio, all'interno dei quail i migranti che avevano fatto della raccolta di detriti la loro fonte di sostentamento, vendevano materiali di diversa natura. Questa realtà, dall'altra parte del mondo, mi ha ricordato il divario presente a Philadelphia.
Dopo quasi dieci anni all'estero, nel 2008 sono ritornato negli Stati Uniti e ho iniziato a fare fotografie nel Nord Philadelphia. La mia esperienza del luogo nel frattempo era inevitabilmente cambiata. Ora mi sentivo estraneo e doverci andare da solo, giorno dopo giorno, mi sembrava quasi una lotta. Ho preso coscienza di me stesso come un estraneo privilegiato, con al collo una macchina fotogragica, all'interno di un luogo che non mi apperteneva più. Tuttavia, c'era qualche cosa nelle fotografie che scattavo che ha trattenuto la mia attenzione e mi ha incoraggiato a continuare. Piuttosto che cercare di rappresentare il Nord Philadelphia come esempio di realtà sociali più ampie, ho iniziato a vederlo come un luogo unico, che per me aveva un significato particolare. A poco a poco, i contorni di questa zona, assieme alla sua storia e alle sue circostanze hanno iniziato ad emergere.
Inizialmente ho fotografato i lotti liberi. Alcuni sono stati ripensati dagli abitanti del vicinato come giardini o memoriali, mentre altri erano invasi di rifiuti, in attesa di una 'bonifica' ad opera della natura. Alcuni lotti, durante la primavera e l'estate, erano angoli lussureggianti di vegetazione ed evocavano l'ingresso a mondi naturali sconosciuti.
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Mi sono incuriosito alla presenza dei ristoranti cinesi take-away che punteggiavano il paesaggio. Figure apparentemente banali ma che rivelavano una narrazione complessa tra le comunità afro-americane e cinesi. La gente del posto sembrava percepire i cinesi come estranei che si nascondevano dietro barricate a prova di proiettile. I cinesi, la maggior parte migranti che arrivavano dalle piccole città di provincia del sud della Cina, apparivano come intrusi intrappolati in un avamposto straniero, in attesa di tornare a casa.
In quanto fotografo, la gente si approcciava a me in maniera spesso sospettosa, chiedendomi che cosa stessi facendo. Molti credevano che la mia macchina fotografica fosse uno strumento di rilevamento dati e che fossi uno sviluppatore immobiliare. Quando ho risposto che stavo semplicemente facendo delle fotografie al quartiere, alcune persone mi hanno chiesto di essere fotografate. Due giovani uomini una volta mi hanno addirittura costretto, dicendomi: 'facci una fotogragfia o ti prenderemo la macchina fotografica'.
Quando il negativo è arrivato dal laboratorio, sono rimasto colpito dalla loro immagine e dall'intimità che ne emergeva. Uno degli uomini appariva aperto e dolce, mentre l'atro mostrava una spavalderia che sembrava nascondere una profonda vulnerabilità. Fu allora che la gente è diventata un obiettivo primario.
Molte delle persone che ho fotografato, anche quelle che erano chiaramente in difficoltà, mostravano un atteggiamento di grazia. Ho incontrato una giovane donna che stava lavorando lungo la strada. Al tempo era sconsolata, abbandonata e in una situazione precaria. Altre persone sembravano trovarsi in un limbo, in attesa di un qualche cambiamento.
Guardandomi indietro mi domando se ho fatto bene, forse ero io a trovarmi in uno stato indeterminato, intento a ritrarre luoghi e persone che ritenevo in una situazione di mezzo.
Un'anziana donna, Helen, ha vissuto per decenni nella stessa casa. Nonostante fosse circondata da un sacco di detriti, spazzatura e da edifici abbandonati, la sua casa era curata e ricca di fiori all'esterno. Suo figlio, che era spesso li per prendersi cura di lei, mi ha detto che la loro famiglia era originaria del Sud e che viveva nel Nord Philadelphia dall'inizio del Novecento. Avevano radici profonde in quella zona e avevano assistito alla lenta decadenza del quartiere. 'Ma', mi disse, 'questa è la nostra casa e non vogliamo andare altrove'.
Per tutte le immagini: Daniel Traub, North Philadelphia, 2008-13. Courtesy l'artista