The space of imagination
di Andrea Lerda
Corpo, spazio e immaginazione sono le tre parole chiave della residenza d’artista Living Room, che quest’anno ha visto protagonisti Bepi Ghiotti, Eva Frapiccini, Giovanni Termini e Flaminia Veronesi. Il progetto, organizzato dall’associazione Art.ur di Cuneo e a cura di Andrea Lerda, è un evento che da diversi anni mette in relazione la ricerca di artisti e creativi contemporanei con la dimensione domestica e lo spazio privato. Per questa edizione, e in relazione al concept individuato dal curatore, gli artisti sono stati invitati a compiere un periodo di residenza presso 4 studi di architettura del capoluogo cuneese.
The space of imagination è il titolo del progetto curatoriale con il quale gli artisti si sono confrontati per realizzare quattro progetti inediti, presentati al pubblico tra il 10 e il 12 dicembre. Come possiamo immaginare la nostra relazione con lo spazio pubblico, quello privato e lo “spazio mondo” nel quale siamo immersi, alla luce delle complessità che il tempo ci pone? A questo incipit gli artisti hanno risposto con quattro lavori inediti.
Flaminia Veronesi
Mostra mobile - Mobile museo, 2021
La ricerca di Flaminia Veronesi si muove all’interno di un mondo fantastico, nel quale grottesco, ironico e perturbante si mescolano. Attraverso disegno, scultura e performance, l’artista dà forma a lavori che stimolano la creazione di immaginari fluidi e ibridi. Mediante riferimenti che provengono dall’universo della mitologia, dalla letteratura e da temi più legati alla contemporaneità, Flaminia Veronesi costruisce realtà immaginarie dove la fantasia sovverte la realtà delle cose; dove il gioco fa vacillare concetti e stereotipi e nelle quali il riferimento alla sessualità è esperienza alchemica generatrice.
In occasione di Living Room 2021, l’artista ha dialogato con Manuela Rosso e Manuele Cassino - Studio 3Mark. Dalla condivisione del tempo e degli spazi, sono scaturite una serie di riflessioni sull’impossibilità di vivere fisicamente il rapporto con l’arte in periodo di lockdown. A partire da questa considerazione, artista e architetti si sono domandati quale nuova modalità espositiva possa essere immaginata per consentire alle persone di visitare una mostra in caso di limitazioni alla mobilità personale.
Come afferma l’artista, “è un lavoro che pensa al futuro, che propone un’alternativa alla fruizione artistica, rendendola domestica, personale, viva”.
Flaminia Veronesi ha così ideato Mostra mobile - Mobile museo, un dispositivo ibrido – a metà tra una piccola wunderkammer contemporanea e una scatola magica – in grado di accogliere una serie di opere allestite in forma di mostra viaggiante. Un piccolo museo itinerante, aperto e interattivo. Una mostra domestica, all’interno della quale prendono vita, di volta in volta, narrazioni e immaginari nuovi. Un trumeau custode di tesori e artefatti offerti a chi è curioso di esplorare e interagire con ciò che vi è nascosto all’interno.
Per questa prima esposizione, Flaminia Veronesi ha deciso di presentare un progetto che ruota intorno al concetto di “babele”, interprentando in maniera straordinaria l’incipit della residenza e creando un dialogo potente con la realtà che stiamo vivendo.
L’artista ha collocato all’interno dei vari compartimenti, piani e livelli della struttura, una serie di opere, tra cui disegni, sculture, un quaderno di studio con i suoi appunti, ma anche lavori pittorici e ceramiche che si svelano interagendo con il mobile.
La narrazione delle opere ospitate in Mostra mobile - Mobile museo ruota attorno al tema della crisi ecologica e del rapporto tra mondo animale e civiltà. Il riferimento al mito di Babele non appare dunque casuale. Nel libro della Genesi (11,1-9) si legge come gli uomini si sarebbero accinti a costruire una torre la cui cima toccasse il cielo e come il Signore, offeso da tanta presunzione, li avrebbe puniti mettendo fine alle loro intenzioni semplicemente confondendo le loro lingue.
Costruendo un oggetto la cui forma richiama alla mente quella di una torre, Flaminia Veronesi crea un parallelo di grande forza concettuale tra mito e realtà. Questa presenza, nel suo essere alternativa, ci porta a riflettere sulla possibilità di ripensare creativamente l’esperienza del limite e di affrontare in maniera speculativa la necessità dell’essere umano di ripensare il suo rapporto con le altre specie viventi con le quali coabita il Pianeta.
Giovanni Termini
Cantalupo, parole in libertà, 2021
Giovanni Termini ha condiviso il tempo della sua residenza in compagnia di Dario Castellino, architetto che ha coordinato il recupero della Borgata Paraloup, in Valle Stura. Luogo – il cui nome significa “al riparo dai lupi” – che per secoli ha accolto pastori e greggi e dove partigiani coraggiosi, tra cui Duccio Galimberti, Dante Livio Bianco, Giorgio Bocca e Nuto Revelli, hanno organizzato la Resistenza contro le forze nazifasciste durante la Seconda Guerra Mondiale.
Pur con le debite cautele nell’associazione, l’artista trova nell’esperienza di isolamento che il genere umano ha vissuto, alcuni punti di contatto con quanto accaduto a Paraloup.
“In qualche modo, con il dovuto rispetto per un evento storico di altra portata e natura, quella segregazione nelle montagne mi ha fatto pensare al lockdown, d'altronde ogni sera quando guardavo la tv e sentivo la conta dei morti, mi sembrava di udire un bollettino di guerra”.
L’impossibilità di muoversi, la difficoltà a comunicare, la necessità di stare al riparo dal pericolo e al tempo stesso di compiere un gesto di “resistenza”, hanno ridato valore al sentimento di libertà e rafforzato un senso di solidarietà collettiva.
Muovendo da questa suggestione, Giovanni Termini ha presentato il progetto Cantalupo, parole in libertà.
L’artista ha creato un trabattello utilizzando due cavalletti metallici e una tavola da ponteggio, configurando un’impalcatura che diventa palcoscenico per un’azione performativa. La struttura è stata allestita all’interno dell’appartamento che è attualmente oggetto di ristrutturazione da parte dell’architetto Dario Castellino. Giovanni Termini immagina questa presenza come un pulpito, una torretta dalla quale poter osservare il mondo, da cui comunicare il proprio messaggio al futuro, urlare le proprie necessità, esprimere i propri sogni e desideri.
Nella performance, realizzata nei giorni precedenti l’inaugurazione, alcune persone si lasciano andare a un’esperienza liberatoria, a tratti catartica. Il set utilizzato per compiere l’azione rimane all’interno dello spazio come luogo aperto all’interazione con lo spettatore, invitato, laddove lo desidera, a prendere parte all’opera e a compiere la propria azione.
L’esperienza entra concettualmente in dialogo con il luogo nel quale prende vita e con i materiali che l’artista impiega per realizzarla. L’abitazione, nella sua condizione attuale di corpo in evoluzione verso qualcosa di nuovo, diventa cassa di risonanza concettuale per il lavoro.
Cantalupo, parole in libertà si configura come un’esercitazione linguistica che si muove nel campo dell’ideale, nella quale l’interazione di emozioni e vissuti personali diventa esperienza vitale e generativa. Giovanni Termini mette al centro la parola, invitando tutti gli spettatori a sperimentare lo spazio del linguaggio come campo di azione per la resistenza, il cambiamento e la libertà.
Bepi Ghiotti
Underfoot [I feel the weight of all the earth], 2021
La ricerca di Bepi Ghiotti conduce lo spettatore a riflettere sull’essenzialità delle cose. Mediante un approccio concettuale dal carattere ontologico-esistenziale, l’artista realizza spesso azioni che prendono forma da un dialogo con la natura, attraverso le quali interrogarsi e interrogarci sul “dove siamo” in quanto esseri umani, quali sono i nuovi confini dell’essere, quali le mappe mentali che siamo chiamati a riconfigurare.
Nell’ambito di Living Room 2021, Bepi Ghiotti ha dialogato con l’architetto Luisella Dutto, intercettando nella sua pratica di ricerca, una sensibilità condivisa sul tema dell’abitare e del vivere, sulla relazione tra tempo e radici, spazio e corpo.
L’artista ha percorso a piedi, impugnando una bandiera bianca, il tragitto che dal centro della città conduce al punto dove convergono i fiumi Gesso e Stura. Le coordinate del luogo sono state successivamente riportate su una bandiera bianca, che ha nuovamente marciato verso Cuneo. L’azione, documentata, è presentata al pubblico assieme ad alcune immagini, oltre a una piccola installazione composta da un paio di stivali nei quali trovano spazio dei ciottoli. Questa serie di lavori è in dialogo con il video Underfoot [I feel the weight of all the earth], all’interno del quale l’artista è ritratto nel tentativo di procedere in maniera incerta su una linea immaginaria posata sul letto arido di un fiume.
Il progetto ruota attorno al camminamento. Gesto che, da un lato, richiama alla mente la pratica artistica di walking artists storici come Richard Long o Hamish Fulton, dall’altro, testimonia la riscoperta di un atto rituale e terapeutico di ingresso nel mondo naturale.
L’azione, apparentemente semplice, rivela in realtà un’esperienza molto più complessa che, in ambito artistico, è tornata protagonista della sensibilità di molti creativi, sollecitati dal bisogno di compiere riflessioni speculative sul nostro modo presente e futuro di abitare il mondo.
Bepi Ghiotti è interessato al concetto di confine e di limite, alla costante ridefinizione dello spazio e della realtà nella quale siamo immersi, alla vulnerabilità e transitorietà di quel punto di convergenza che ha deciso di ritrarre, sottolineando il fatto che la genesi stessa della città di Cuneo è legata all’azione dell’acqua. E dunque, noi siamo il fiume, il ciottolo, l’acqua, nella loro costante trasformazione. Il tempo che viviamo è anch’esso un’esperienza trasformativa e Bepi Ghiotti sembra suggerirci che non servono troppi esercizi di immaginazione per andare verso il futuro. Occorre “stare”, vivere e osservare da vicino, coesistere o, come direbbe la filosofa Rosi Braidotti “staying with the trouble”.
Camminare attraverso questi luoghi è dunque molto di più che fare una passeggiata in natura, è l’occasione per sentirsi natura, per ritornare su passi che portano al futuro e per sperimentare l’incertezza generativa del tutto.
Citando Blaise Pascal “(…) che cos’è un uomo nella natura? Un nulla in confronto con l’infinito, un tutto in confronto al nulla, qualcosa di mezzo tra il nulla e il tutto (…) egualmente incapace di scorgere il nulla, da cui è tratto, e l’infinito in cui è inghiottito”. (1)
Eva Frapiccini
Sens-azione, 2021
L’intervento ideato da Eva Frapiccini nasce dall’incontro tra l’artista e i membri dello Studio24, a seguito di uno scambio di suggestioni avvenute sia sul piano professionale – l’attenzione che gli architetti riservano ai temi della sostenibilità e all’uso di materiali naturali – che su quello umano, con la condivisione di ricordi e suggestioni di carattere personale.
Nel corso della residenza, Eva Frapiccini è stata particolarmente affascinata da due esperienze che gli architetti dello Studio Aimale hanno condiviso con lei.
La prima ha a che vedere con il Monumento della Resistenza, realizzato dallo scultore Umberto Mastroianni, e collocato di fronte allo studio. L’enorme struttura scultorea, realizzata tra il 1948 e il 1969, rappresenta idealmente l’esplosione di un cristallo. Formata da cunei in bronzo di diverse forme e dimensioni che si aprono verso l'esterno, questa presenta è stata, in anni passati, il luogo prescelto da tanti ragazzi che su di essa decidevano di arrampicarsi per gioco.
La seconda esperienza che ha influenzato l’immaginario di Eva Frapiccini ha a che vedere con la scelta di Alberto Aimale di acquistare una “casa-rifugio”, assieme al bosco nel quale essa è immersa, nei pressi di Boves. La ristrutturazione dello storico casolare è avvenuta nel pieno rispetto delle caratteristiche architettoniche originarie dell’edificio, e mediante l’utilizzo di elementi naturali che sono stati prelevati direttamente dal bosco. Scelta uguale, avvenuta su un’altra abitazione poco lontana, è stata fatta da Alessandro Gianola. L’abitazione è il luogo all’interno del quale gli architetti si sono rifugiati in periodo di lockdown, territorio franco per isolarsi dal mondo, nel quale rigenerarsi, dove abitare in modo sintonico con la natura, in empatia con i ritmi e i cicli della vita, in piena apertura emotiva e sensoriale con una materialità semplice dell’esistenza.
A partire da queste suggestioni, Eva Frapiccini presenta un’installazione ambientale, realizzata in collaborazione con gli architetti e grazie all’utilizzo di materiali organici (rami, foglie, arbusti ecc..), provenienti dal bosco che circonda l’abitazione. L’opera, dal carattere immersivo e sensoriale, è una riflessione sullo spazio, sul corpo e sul tempo, che forza l’inerzia e l’ordine degli ambienti artificiali interni. Un dispositivo che riporta il bosco in un luogo chiuso, che attiva una serie di riflessioni quanto mai attuali su temi come la bio architettura, la sostenibilità dei materiali in ambito edilizio, nonché sulla possibilità di recuperare modi desueti di vivere e abitare. Un luogo ideale, esperienziale, che, citando il titolo dell’ultima Biennale Architettura di Venezia, sembra attivare una riflessione sul come dobbiamo e possiamo ripensare il nostro modo di coesiste, e dunque How will we live together?.
Per questa ragione, l’installazione Sens-azione è in dialogo con le fotografie scattate al monumento di Umberto Mastroianni. L’artista ha invitato gli architetti, assieme a una serie di amici, a ripetere il gesto ludico di un tempo, con l’obiettivo di dare valore all’esperienza del gioco, alla riattivazione di un luogo e al recupero del tempo passato.
Nel legare lo spazio collettivo con quello privato, l’intervento di Eva Frapiccini ci invita a immaginare nuovi modi di coesistere, citando direttamente il designer Enzo Mari, maestro dell’avanguardia italiana del secondo dopoguerra, che sosteneva …."I valori di questa società - per coloro che possono permetterseli ovviamente, una piccola porzione di essa può permetterseli, ma anche coloro che non possono continuano ad averli come un modello - sono tempo libero, turismo, libertà e personal computers. Osserviamo come tutto questo è comprensibile che ci porti verso una società di cyborgs, di persone che sono già, o sperano di diventare cyborgs. Il feroce meccanismo del mercato globale e del capitale ha un impatto in tutto questo, ma lo strumento che permette che queste bestie feroci e ignoranti distruggano l'umanità è il computer. Io penso che l'unica modo per salvarsi è smettere di stare dietro a quelle macchine e tornare a pensare per e con le mani."
“Penso che la ricerca del benessere che si prova nello stare insieme sia la chiave di lettura per ripensare il futuro; stare insieme nel corpo, strutturando diversamente gli spazi condivisi a contatto con la natura di cui ci si prende cura con le mani”. Eva Frapiccini
(1) B. Pascal, Il posto dell’uomo nella natura [le deux infinis], in Id., Pensieri, trad. it. di A. Bausola, R. Tapella, Milano 2017, p. 65, n. 84.
Per tutte le immagini: foto Francesco Doglio.