Il tempo metabolico

 

 

Alexandra Boaru, Bea Bonafini, Lena Kuzmich, Flaminia Veronesi
Galeria Posibila, Bucarest

Mali Weil
Istituto Italiano di Cultura, Bucarest

 

 

 

 

 

Quando gli umani si convinsero che per continuare a vivere era necessario evolvere, il metabolico processo dell’essere e del divenire poté deflagrare in un tempo di consapevolezza, mescolanza e coesistenza. Elaborate tutte le scorie della galassia antropocentrica, antichi rituali e nuove forme di relazione riscrissero i codici dell’esistenza.
Nel tempo di Eddlesea - 420 anni dopo il collasso del Capitalocene - viventi e non viventi condividono il medesimo bisogno di costruire la realtà attraverso la pratica del sogno. Futuri prima inimmaginabili, prendono forma grazie ai semi sepolti tempo addietro da pensatrici e pensatori, creative e creativi, pioniere e pionieri.
Nuovi paradigmi e nuovi ordini globali sono stati definiti; un’energia creazionista è emersa dalle catene del patriarcato; maschile e femminile, prima separati, coesistono ora nell’essere post-genere; il dominio gerarchico è divenuto biopolitica e i corpi, così come le menti, sono un tutt’uno risonante tra forze biotiche e abiotiche.
All’interno di uno scenario dove il tempo si è definitivamente trasformato in un presente in perenne divenire, tutto muta rispondendo ai principi di circolarità e rigenerazione.     

Nato dalla collaborazione tra l’Istituto Italiano di Cultura e la Galeria Posibila di Bucharest, Eddlesea. Il tempo metabolico è un progetto espositivo che si sviluppa su due sedi e che prende forma grazie alle ricerche di artist* italian*, rumen* e internazionali. 

La mostra, pensata come un viaggio all’interno di un universo appena nato, rende omaggio alla creatività in quanto esercizio di fondamentale importanza per delineare i contorni di un nuovo sense of beginning.
Il progetto, basato su una narrativa speculativa e a tratti fantascientifica, evoca una realtà immaginaria e uno scenario postumano alternativo a quello che abbiamo prodotto; oltre il realismo capitalista che ci impedisce di ragionare sul mondo in cui viviamo, di desiderarlo diverso, di desiderare di essere noi stessi diversi.

Le opere, nel proporre scenari altri, paesaggi utopici e prospettive possibili, creano occasioni di worlding, meaning making e vicarianza.
Nel riconoscere all’immaginazione la capacità di incidere politicamente nel reale e alla fiction di porsi come atto di resistenza e di invenzione, Eddlesea. Il tempo metabolico afferma che una nuova cosmogonia post-antropocentrica esiste già.

La mostra presso la Galeria Posibila raccoglie le ricerche di quattro artiste, le cui opere, mediante prospettive differenti, ritraggono mondi futuri e futuribili.
Gli scenari che i loro lavori propongono, possono essere intesi sia come nuove prospettive cosmiche verso le quali tendere, sia come realtà già presenti ma oscurate dall’incapacità umana di interpretare in maniera piena e risonante la propria condizione di interdipendenza con il circostante.

Ai discorsi sull’iperoggetto “Antropocene”, le loro visioni preferiscono un’attività di riscrittura delle coordinate biologiche, culturali e relazionali che fino a oggi hanno definito e regolato la parabola umana.
I paesaggi, le immagini e le ambientazioni, dotate di carattere onirico e fantascientifico, sono tuttavia basate e generate da ipotesi del tutto plausibili. Si tratta di narrazioni al tempo stesso lucide e speculative; atti di denuncia e forme di seduzione; anticipazioni di un futuro possibile e di un presente già trasformato. L’umano, così come lo abbiamo sempre inteso non esiste più.

 

 

 

 

In ingresso sono esposte le opere su carta di Flaminia Veronesi, realizzate dall’artista milanese nel corso nel 2024. I lavori sono nati in seguito alla rilettura del pensiero di Maria Montessori – pedagogista, educatrice e tra le prime donne a laurearsi in medicina in Italia – che a inizio Novecento delineò una prospettiva innovativa nell’ambito delle riflessioni e delle rivendicazioni femministe.
Gli acquerelli reinterpretano l’immagine della “donna pioniera”, dando forma a un nuovo immaginario simbolico del materno, nel quale le virtù del femminile come la cura, l’accoglienza e il legame con il naturale – libere di evadere dalla casa nella quale erano tenute prigioniere e di rendere finalmente più forte la specie umana – sono deflagrate in un nuovo sentimento universale.
In questo universo appena nato – un luogo abitato da creature mutanti, da seni fumanti che appaiono come catene montuose primordiali e dove una catarsi cosmica ha riconfigurato non solo i modelli culturali ma addirittura il DNA del reale – ogni essere umano è una creatura materna che, agendo secondo il principio del “dare”, si prende cura dei figli, dell’esistenza e della Madre Terra.
Eva, la donna oggetto e procreatrice che per lungo tempo è stata vittima di una condizione di inferiorità e di sottomissione, ha lasciato il posto alla Madre, una “Maria sociale” per la quale la maternità è intesa come entità priva di generi e ruoli e fondata sui concetti di premura verso l’altro e responsabilità verso la vita.

 

Nella seconda sala, il video Chimera (2022), dell’artista di origini viennesi Lena Kuzmich, racconta di un mondo dove tutti i cicli naturali sono fluidi, nel quale non c’è inizio e non c’è fine, solo trasformazione. 
All’interno di Chimera, il concetto di “vita”, così come lo abbiamo sembre conosciuto e raccontato, non esiste più. Anche quello di “corpo”, un tempo percepito come entità stagna e dai contorni definiti, è ora deflagrato nell’immagine di un assemblage di organismi che si riconoscono come necessari.
L’alterità e il diverso, che a lungo hanno suscitato timore nell’animo degli umani, sono scomparsi. Tutto si muove all’interno di un fluido amniotico, nel quale una mescolanza indistinta e multispecie risponde ai concetti di amore, sesso, dono, decadimento, morte e trascendenza.
Esaminando l’ecologia queer e la vita non binaria all’interno degli ecosistemi naturali, Lena Kuzmich si interroga sulle modalità e sui limiti che definiscono l’essere umano come specie, proponendo l’anticipazione di un tempo post-genere e post-umanocentrico.
Combinando scene di genesi, mutamento e ibridazione; alternando riferimenti al reale con ambientazioni surreali; riecheggiando vagamente l’estetica New Age da un lato e i riferimenti al mondo virtuale e della computer grafica digitale dall’altro, la narrazione sottolinea il carattere vibrante, caotico e iperdinamico di un nuovo stato di natura.

 

 

 

 

Al centro del percorso espositivo, l’opera May all sleep be equally peaceful (2024) di Alexandra Boaru sviluppa una ricerca pluriennale che vede l’artista rumena impegnata in un costante tentativo di decostruire i confini tra umano e altro dall’umano.
Alexandra Boaru prende atto del fatto che tutti i corpi sono sistemi complessi in divenire,  costantemente permeati e permeanti. Superata la convinzione della carne umana come entità pura e superiore rispetto al maelstrom biologico (Edward Wilson, 1984) degli altri mondi viventi, l’artista ritrae un’anatomia post-umana fondata sul principio della codipendenza. 
Le cinque sculture in argilla – disposte sui ripiani di una scaffalatura metallica e attivati da una serie di performer in occasione dell’inaugurazione della mostra – sono corpi ibridi dotati di speciali potenzialità articolari. Protesi estensive che si offrono come interlocutori per riscrivere possibilità e funzionalità motorie dei corpi; membrane modulari che generano dinamiche di scambio e  interferenza inedite; interfaccia per gestualità diplomatiche che consentono una costante negoziazione tra esseri viventi.
Con quest’opera, Alexandra Boaru prosegue una ricerca speculativa, avviata in occasione del progetto On being human and other speculative beings, volta a creare un nuovo immaginario di corpo ecologico, transpecie e in-betweenness. 

 

Nell’ultima parte della mostra, due opere ci portano ad accedere fisicamente, oltre che concettualmente, all’interno dell’immaginario fantastico dell’italiana Bea Bonafini.
Il grande tappeto dal titolo Shape-shifting II (2018), probabilmente da intendersi come piccolo frammento di una scena molto più grande, è il mezzo grazie al quale l’artista ci invita a guardare attraverso il mondo che la sua sensibilità ha intercettato.
Un’immagine caleidoscopica mescola riferimenti di varia natura. In primo piano, la silohuette frammentata di un corpo femminile, ritratto a gambe aperte, allude all’esperienza della genesi e della fecondazione. In secondo piano, sagome fluttuanti di colore giallo pallido e ocra fanno riferimento a figure ibride ritratte in alcune pitture rupestri.
Presenze che, per il loro aprire a uno sconfinamento, chiamano in causa la parola shapeshifters, usata per descrivere la capacità degli shamani di mutare e di assumere le sembianze di qualcun’altro – spesso di un animale ma anche di alberi, pietre e manifestazioni del potere naturale come fulmini e uragani – per mezzo del sogno.
Infine, sullo sfondo, una scena vorticosa a strati concentrici verdi e arancioni, nella quale si evoca l’atto della caccia tra due animali. L’epicentro dell’opera, il ciclo naturale della vita, della divorazione e della consumazione di una creatura per il nutrimento dell’altra, si relaziona con l’opera su carta dal titolo Everything is Alive (2021).

 

 

 

 

 

L’Istituto Italiano di Cultura di Bucarest presenta Rituals, l’ultimo di una serie di lavori che il collettivo italiano Mali Weil ha realizzato nell’ambito di una ricerca pluriennale incentrata sulla riconfigurazione delle relazioni culturali, sociali e giuridiche tra esseri umani e other than human.

L’opera Rituals, esposta presso l’Istituto Italiano di Cultura di Bucarest, è l’ultimo di una serie di lavori che il collettivo italiano Mali Weil ha realizzato nell’ambito di una ricerca pluriennale incentrata sulla riconfigurazione delle relazioni culturali, sociali e giuridiche tra esseri umani e other than human.
L’installazione video a due canali, vincitrice nel 2023 del bando Italian Council del Ministero della Cultura, rappresenta il primo di una serie di episodi che tracciano i contorni di un universo possibile, nel quale vengono immaginate, come attività già attive e diffuse a livello globale, una serie di pratiche identificate con il nome di “diplomazie interspecie”.
In Rituals, Mali Weil adottano una narrazione di impianto fictional e un approccio dal carattere speculativo per descrive una realtà nella quale l’arte della diplomazia interspecie è una pratica che gli esseri post-umani apprendono e tramandano mediante pratiche rituali condivise.
Il tempo in cui l’anthropos si considerava divoratore che non poteva essere divorato, e dunque essere in cima alla catena alimentare, è ormai un ricordo lontano.
Le nuove creature, prodotto della metamorfosi e del dialogo interspecifico, sono aperte alla violenza dell’ibridazione tra umano e animale, nella consapevolezza acquisita di essere un’unica materia vivente.

Nel video a due canali vengono rappresentati, mediante 3 riti diversi, temi che si annodano attorno ai concetti di corpo, divorazione e morte.
Nei primi due, il protagonista Oksivet viene condotto attraverso due riti di passaggio della carriera diplomatica: quello necessario per accedervi e quello per uscirvi, entrambi mediante l’attivazione di un processo di “divorazione”.
Il terzo rito è un’iniziazione, tramite l’antico cerimoniale dionisiaco dell’oscillare, che nel mondo delle Diplomazie Interspecie permette l’accesso alla Montagna dei Sogni Avanzati, dunque a una forma di conoscenza e di connessione con l’alterità che avviene attraverso la pratica di un sogno “condiviso”.

Rituals, parte del più ampio progetto The Mountain of Advanced Dreams e dell’esperienza di ricerca dal titolo Scuola di Diplomazie Interspecie e Studi Licantropici, forza i limiti del reale e delinea i nuovi confini di un universo di coesistenza interspecie.